Sui Monti Orastiei in Romania un’autentica metropoli, che si estende per 200 chilometri quadrati, attende di essere portata alla luce dagli anni Novanta.
I templi daci dei Monti Orastiei sono tra le più importanti vestigia della nostra storia, anche se oggi costituiscono un’attrattiva più per i cercatori di tesori o per gli “yoghi” che non per classici turisti. Con il decorrere dei secoli, dei santuari edificati dagli antenati del popolo romeno è rimasta solo qualche rovina.
Così come la città proibita di Machu Picchu, l’insediamento noto con il nome di Sarmizegetusa è ancora avvolto nel mistero. L’ipotesi formulata più di recente circa questo luogo, del quale abbiamo imparato a scuola che fu la capitale dello Stato dacico, è che esso costituisce solo una piccola parte di un’enorme città, appunto di circa 200 chilometri quadrati.
Un insediamento grande quanto l’attuale Bucarest
La storia inizia nel 1993, quando la Romania lanciò una vasta campagna di valorizzazione delle fortezze daciche di Gradistea e di verifica delle informazioni fornite dagli storici, secondo i quali qui sarebbe esistita una metropoli paragonabile alle grandi città del mondo antico. Queste ricerche, avviate dai ministeri dei Lavori pubblici, della Cultura e della Ricerca, avevano come preciso scopo la delimitazione fisica del complesso fortificato con metodi diversi rispetto ai classici scavi archeologici.
I risultati, che non sono mai stati pubblicati ufficialmente, sono scioccanti: le fortificazioni non rappresentano solo città disparate, collocate sulle cime delle montagne, ma un insieme compatto, un vasto insediamento militare e civile, con differenti nuclei, esteso su di una superficie grande circa quanto l’attuale Bucarest.
Ogni terrazzamento aveva un muro di difesa
La maggior parte delle vestigia è ancora sotto terra. Le prime dichiarazioni delle persone coinvolte in questi studi sono state fatte dal generale di divisione Vasile Dragomir, in una serie di articoli apparsi sulla stampa di quegli anni. Secondo il generale, la scoperta era stata fatta dall’esercito, che cercava nelle zone montuose siti dove poter allestire campi militari. È così che furono scoperti gli edifici, ma anche le cinte sotterranee che hanno scioccato i ricercatori.
Secondo i dati dello studio, la residenza dei re daci era situata sul massiccio Sureanu, che discende verso est, mentre a nord e a ovest nel Podisul Transilvaniei, tra i fiumi Sebes e Strei. «Ogni picco di questa montagna è stato terrazzato dal basso verso l’alto. Ogni terrazzamento, che era abitato, era difeso da dei muri. Sulle vette sono state costruite una o più città fortificate. Si arrivò sino a qui in modo che ogni isolato di ciascun agglomerato urbano più grande fosse a sua volta difeso da un muro», scriveva Dragomir.
Solo il 5% è venuto alla luce
Il fatto che l’insediamento dacico che conosciamo non rappresenti se non una piccola parte dell’antica metropoli da oltre duemila anni è confermato anche dal responsabile del sito archeologico, il professor Ioan Piso. «Meno del 5% di ciò che costituisce Sarmizegetusa Regia è stato portato alla luce. C’è bisogno di un ampio progetto per svelare ciò che esiste qui», ha dichiarato. L’ipotesi più entusiasmante è però che la metropoli dei Monti Orastiei comprenda anche una rete di cinte sotterranee. Nella zona di Vartoape, su di una superficie di circa quattro chilometri quadrati, esistono settantacinque cavità coniche di differenti dimensioni, alcune con un diametro che raggiunge i settanta metri.
Gli strumenti di misurazione hanno individuato molte cinte a forma di parallelepipedo che comunicano tra di loro come le camere di un’abitazione. Si tratterebbe di spazi naturali modificati dall’uomo. Da queste cinte si dipartono molti tunnel in direzione delle vicine montagne, talune parzialmente franate.
Lo scetticismo di alcuni ricercatori
Iosif Ferencz, ricercatore scientifico presso il Museo della Civiltà daco-romana, si dice scettico circa questa ipotesi: «Certamente a Sarmizegetusa Regia esistono fortificazioni terrazzate risalenti all’epoca dei Daci. Avevano una funzione di difesa ed erano in legno. Sono stato anche in quelle cinte sotterranee di cui ha parlato il generale Dragomir, ma si tratta di altro che non di anfratti i quali non hanno nessuna connessione con i tunnel costruiti dall’uomo. Alcune sono crollate, tra l’altro». Ferencz aggiunge che Sarmizegetusa è la più importante pagina della nostra storia, ma la storia non significa teorie cospirazioniste.
Daci, yoghi e bracconieri
Sino alla risoluzione dell’enigma, gli adepti del Movimento di integrazione spirituale nell’Assoluto, fondato dal controverso Gregorian Bivolaru, considerano il tempio dacico dei Monti Orastiei un luogo ideale per la meditazione. Gli “yoghi” credono che qui si trovi una porta per entrare in comunicazione con un mondo parallelo. «Nel complesso di Sarmizegetusa, il luogo più carico dal punto di vista della risonanza con la terra di Shambala è proprio con il “Sole di andesite” o il disco solare. In questa zona si evidenzia una carica vitale del tutto eccezionale, evidenziata anche dalla dimensione superiore alla media della vegetazione attorno al santuario dacico», leggiamo nel sito internet ufficiale del movimento (Misa).
Un bracciale dacico da 250mila euro
Sarmizegetusa è però anche centro dello sciacallaggio archeologico. Gli echi del celebre dossario sui “bracciali daci” dei Monti Orastiei, in parte recuperati dallo Stato romeno, non si sono ancora estinti. Collezionisti statunitensi e dell’Europa occidentale hanno pagato oltre quattro milioni di euro per quindici bracciali daci di oro massiccio. Ma Iulian Ceia, considerato il principale artefice dell’operazione, è latitante, motivo per cui il ricorso al processo in cui l’uomo è stato condannato dal Tribunale di Hunedoara a dodici anni di prigione, si sta prolungando all’infinito.
Dossario penale per il presidente del Consiglio distrettuale
Circa un anno fa, tutta la fatica degli archeologi è stata vanificata dagli operai di un’azienda, che entrarono coi bulldozer in Sarmizegetusa e precisamente dalla Porta Ovest. L’operazione fu avviata sulla base di un progetto approvato dal presidente del Consiglio distrettuale di Hunedoara, Mircea Molot, che prevedeva l’allestimento di un parcheggio per i turisti.
L’intera vicenda è stata rivelata al grande pubblico da Adriana Pescariu, vicepresidente della Commissione nazioanle archeologica. «L’accesso alla città è distrutto per trenta metri. È possibile, stando al ritrovamento di materiale ceramico rinvenuto in questo luogo, che siano entrati [con i bulldozer, ndr] anche nella zona di alcune abitazioni daciche identificate negli anni Ottanta», ha detto la Pescariu. In seguito a questo incidente, i procuratori hanno redatto un dossario penale sul presidente dell’amministrazione distrettuale, dossario che non è stato ancora terminato.