2012-06-22

La particella di Majorana, un mistero ancora insoluto


Ipotizzata dal geniale fisico italiano misteriosamente scomparso nel 1938, potrebbe essere presto scoperta dai nuovi esperimenti negli acceleratori. E violerebbe il principio secondo cui materia e antimateria non possono coesistere.

Chi non ha mai sentito parlare di  Ettore Majorana? Il brillante fisico italiano del gruppo di via Panisperna, al quale apparteneva, tra gli altri, Enrico Fermi, scomparve misteriosamente nel 1938, dopo aver lasciato la città natale, Napoli, per raggiungere Palermo. Sul suo destino sono state elaborate tante teorie, dal suicidio al rapimento da parte dei nazisti, al rifugio in monastero (Sciascia seguì quest’ultima pista nel suo celebre La scomparsa di Ettore Majorana). Ma per i fisici di tutto il mondo, il nome di Majorana è legato a un altro mistero, quello dell’ipotetica particella che prende il suo nome, e che godrebbe della straordinaria proprietà di essere materia e antimateria allo stesso tempo. Nulla più di un’ipotesi, all’epoca; oggi, le cose sembrano essere destinate a cambiare.teoria, materia e antimateria sono del tutto inconciliabili. Quando entrano in contatto, si annichilano a vicenda, liberando energia. Per fortuna, l’antimateria è quasi inesistente nel nostro universo, altrimenti non saremo qui a parlarne: se il Big Bang avesse dato origine alla stessa quantità di materia e antimateria, le due quantità si sarebbero distrutte a vicenda e ora non esisterebbe nulla. Perché, invece, questa simmetria sia stata violata, al punto che oggi il nostro universo è costituito essenzialmente di materia, resta un grande mistero della cosmologia, che le particelle di Majorana potrebbero spiegare.
Alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, Paul Dirac giunse alla conclusione che ciascuna particella elettricamente carica possiede un proprio “gemello” opposto: pochi anni dopo si scoprì il positrone, il gemello di carica opposta dell’elettrone, confermando quella teoria. Majorana si spinse oltre, giungendo a sostenere che anche le particelle elettricamente neutre possiederebbero un’antiparticella. Ma in questo caso, non potendo distinguersi in base alla carica elettrica, le due particelle sarebbero praticamente identiche. In sostanza, si tratterebbe di un’unica particella che assumerebbe allo stesso tempo la proprietà anche della sua antiparticella. Sembra assurdo, ma c’è un modo di verificare quest’assunto: se si incontrano, due particelle di questo tipo – due particelle di Majorana – si annichilerebbero a vicenda.
In effetti, il fotone, che è una particella priva di carica e anche priva di massa, ha una sua antiparticella che, nei rari casi in cui interagisce con il fotone, produce un’annichilazione. La differenza sta nel fatto che il fotone è un bosone, cioè una di quelle particelle che veicolano una forza (i bosoni sono anche chiamati “quanti”). L’ipotesi di Majorana fa riferimento all’altra famiglia di particelle, i fermioni, che compongono la materia. Si è pensato a lungo che il neutrino fosse una particella di Majorana: si tratta infatti di un fermione senza carica elettrica e con massa quasi nulla, che sembrerebbe possedere un antineutrino. Tuttavia, sembra che neutrino e antineutrino siano praticamente la stessa cosa e che la differenza stia solo nel modo diverso in cui la particella in moto viene osservata.La novità arriva, ancora una volta, da LHC, il grande acceleratore del CERN di Ginevra. Qui, continuamente, l’antimateria è prodotta attraverso dei “buchi”, dei vuoti nei fasci di elettroni che percorrono l’anello dell’acceleratore. “Un buco altro non è che l’assenza di un elettrone nel punto in cui un elettrone dovrebbe normalmente trovarsi”, spiega Marcel Franz, fisico dell’Università della Columbia Britannica, in Canada. In un fascio di elettroni, questi buchi possiedono carica positiva e, quando un elettrone casca al suo interno, sia la particella che il buco scompaiono, annichilendosi a vicenda. Una particella di Majorana potrebbe essere costituita dalla metà di un elettrone e dalla metà di un buco, una combinazione che produrrebbe un fermione con carica elettrica neutra e zero energia. Una particella di “niente”, in pratica.


È estremamente difficile che una particella del genere, se davvero esiste, sia osservabile in natura. Ma all’interno di un acceleratore, dove la fisica viene piegata a condizioni estreme, le possibilità aumentano. In effetti, i primi annunci di una scoperta delle particelle di Majorana sono giunti da esperimenti molto complessi, attraverso l’impiego di semiconduttori di dimensioni infinitesimali e campi magnetici, ottenendo in cambio “entità” con zero energia e zero carica, esattamente come dovrebbe essere una particella ibrida materia-antimateria. Non si tratta, comunque, di una ricerca spinta dalla pura e oziosa curiosità. Innanzitutto perché le particelle di Majorana potrebbero rivelarsi i “mattoni” ideali dei futuri computer quantistici, che rappresentano l’ultima frontiera dell’evoluzione informatica. In secondo luogo, perché la loro esistenza potrebbe confermare la teoria della supersimmetria, che LHC sta testando nei suoi cunicoli. La supersimmetria è una teoria che spiegherebbe tutta la fisica esistente facendo ricorso all’esistenza di super-partner per ciascuna particella prevista dal modello standard oggi accettato. Le particelle di Majorana sarebbero ottime candidate, inoltre, per le WIMP, le particelle che potrebbero costituire la materia oscura: se così fosse, sarebbero le più comuni nell’universo.  Al momento, comunque, manca ancora una conferma; tuttavia, se LHC continuerà a lavorare ad energie sempre maggiori, questi e altri misteri della fisica potrebbero presto trovare una risposta.

2012-06-18

Cosa è l'apostille sui documenti


Questa possibilità non esiste in via generale, ma è prevista solo per i cittadini provenienti dai Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri. Nel corso degli anni è stata ratificata e resa esecutiva da molti Stati e prevede che non sia necessario procedere alla legalizzazione dei certificati presso le autorità consolari, potendo la stessa essere sostituita dalla cosiddetta apostille (in italiano postilla).
Che cos’è l’apostille
Si tratta di una specifica annotazione che deve essere fatta sull’originale del certificato rilasciato dalle autorità competenti del Paese interessato, da parte di una autorità identificata dalla legge di ratifica del Trattato stesso.
L’ apostille, quindi, sostituisce la legalizzazione presso l’ambasciata. Ne discende che se una persona ha bisogno di fare valere in Italia un certificato di nascita e vive in un Paese che ha aderito a questa Convenzione non ha bisogno di recarsi presso l’ambasciata italiana e chiedere la legalizzazione, ma può recarsi presso l’autorità interna di quello Stato (designata dall’atto di adesione alla Convenzione stessa) per ottenere l’annotazione della cosiddetta apostille sul certificato. Una volta effettuata la suddetta procedura quel documento deve essere riconosciuto in Italia, perché anche l’Italia ha ratificato la Convenzione e quindi in base alla legge italiana quel documento deve essere ritenuto valido, anche se redatto nella lingua di un diverso Paese (al punto che dovrebbe essere sufficiente una normale traduzione che si può ottenere anche in Italia per essere fatto valere di fronte alle autorità italiane).
E’ necessario precisare che la Convenzione riguarda specificamente l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri tra i quali rientrano, per espressa previsione della stessa, i documenti che rilascia un autorità o un funzionario dipendente da un’amministrazione dello Stato (compresi quelli formulati dal Pubblico Ministero, da un cancelliere o da un ufficiale giudiziario), i documenti amministrativi, gli atti notarili, le dichiarazioni ufficiali indicanti una registrazione, un visto di data certa, un’autenticazione di firma apposti su un atto privato, mentre invece non si applica ai documenti redatti da un agente diplomatico o consolare e ai documenti amministrativi che si riferiscono a una operazione commerciale o doganale.
Ne consegue che la gamma di documenti per i quali si può superare l’esigenza di legalizzazione, mediante richiesta e annotazione della cosiddetta apostilledirettamente da parte delle autorità interne dello Stato di provenienza, è amplissima e si tratta di documenti che normalmente riguardano i rapporti di parentela, legami familiari, ovvero tutte quelle situazioni che in buona sostanza interessano la quasi totalità degli immigrati. Tralasciando i Paesi europei, che si avvalgono anche di successive convenzioni interne all’Unione, elenchiamo di seguito i Paesi che hanno ratificato la Convenzione, e rinviamo al testo allegato della stessa e agli atti di ratifica effettuati dagli Stati parti, per l’individuazione delle autorità competenti in ciascun Paese per l’apposizione dell’apostille:

Andorra, Antigua, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan,
Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Botswana, Brunei, Bulgaria,
Cipro, Colombia, Croazia,
Domenica,
El Salvador, Estonia,
Federazione Russa, Fiji, Finlandia,
Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Grenada,
Honduras, Hong Kong,
Isole Marshall, Israele,
Kazakhistan,
Lesotho, Lettonia, Liberia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo,
Macao, Macedonia, Malawi, Malta, Mauritius, Messico, Monaco,
Namibia, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda,
Olanda,
Panama, Portogallo,
Repubblica Ceca, Romania,
Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Samoa, San Marino, Santa Lucia, Seychelles, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Suriname, Svezia, Svizzera, Swaziland, Stati Uniti d’America, Sud Africa,
Tonga, Turchia, Trinidad e Tobago,
Ucraina, Ungheria,
Venezuela
Si nota che molti dei Paesi elencati sono di principale interesse per l’Italia sotto il profilo migratorio. Si auspica peraltro che molti altri Paesi aderiscano alla Convenzione in oggetto perché potrebbe evidentemente contribuire alla semplificazione della vita dei loro cittadini.

2012-06-13

Omaggio a una piccola grande donna , MADRE TERESA DI CALCUTTA


 Sono albanese di sangue, indiana di cittadinanza. Per quel che attiene alla mia fede, sono una suora cattolica. Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo. Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo interamente al Cuore di Gesù”.Di conformazione minuta, ma di fede salda quanto la roccia, a Madre Teresa di Calcutta fu affidata la missione di proclamare l’amore assetato di Gesù per l’umanità, specialmente per i più poveri tra i poveri. “Dio ama ancora il mondo e manda me e te affinché siamo il suo amore e la sua compassione verso i poveri”. Era un’anima piena della luce di Cristo, infiammata di amore per Lui e con un solo, ardente desiderio: “saziare la Sua sete di amore e per le anime”. 
Questa luminosa messaggera dell’amore di Dio nacque il 26 agosto 1910 a Skopje, città situata al punto d’incrocio della storia dei Balcani. La più piccola dei cinque figli di Nikola e Drane Bojaxhiu, fu battezzata Gonxha Agnes, ricevette la Prima Comunione all’età di cinque anni e mezzo e fu cresimata nel novembre 1916. Dal giorno della Prima Comunione l’amore per le anime entrò nel suo cuore. L’improvvisa morte del padre, avvenuta quando Agnes aveva circa otto anni, lasciò la famiglia in difficoltà finanziarie. Drane allevò i figli con fermezza e amore, influenzando notevolmente il carattere e la vocazione della figlia. La formazione religiosa di Gonxha fu rafforzata ulteriormente dalla vivace parrocchia gesuita del Sacro Cuore, in cui era attivamente impegnata.

All’età di diciotto anni, mossa dal desiderio di diventare missionaria, Gonxha lasciò la sua casa nel settembre 1928, per entrare nell’Istituto della Beata Vergine Maria, conosciuto come “le Suore di Loreto”, in Irlanda. Lì ricevette il nome di suor Mary Teresa, come Santa Teresa di Lisieux. In dicembre partì per l’India, arrivando a Calcutta il 6 gennaio 1929. Dopo la Professione dei voti temporanei nel maggio 1931, Suor Teresa venne mandata presso la comunità di Loreto a Entally e insegnò nella scuola  per ragazze, St. Mary. Il 24 maggio 1937 suor Teresa fece la Professione dei voti perpetui, divenendo, come lei stessa disse: “la sposa di Gesù” per “tutta l’eternità”. Da quel giorno fu sempre chiamata Madre Teresa. Continuò a insegnare a St. Mary e nel 1944 divenne la direttrice della scuola. Persona di profonda preghiera e amore intenso per le consorelle e per le sue allieve, Madre Teresa trascorse i venti anni della sua vita a “Loreto” con grande felicità. Conosciuta per la sua carità, per la generosità e il coraggio, per la propensione al duro lavoro e per l’attitudine naturale all’organizzazione, visse la sua consacrazione a Gesù, tra le consorelle, con fedeltà e gioia.
Il 10 settembre 1946, durante il viaggio in treno da Calcutta a Darjeeling per il ritiro annuale, Madre Teresa ricevette l’“ispirazione”, la sua “chiamata nella chiamata”. Quel giorno, in che modo non lo raccontò mai, la sete di Gesù per amore e per le anime si impossessò del suo cuore, e il desiderio ardente di saziare la Sua sete divenne il cardine della sua esistenza. Nel corso delle settimane e dei mesi successivi, per mezzo di locuzioni e visioni interiori, Gesù le rivelò il desiderio del suo Cuore per “vittime d’amore” che avrebbero “irradiato il suo amore sulle anime. ”Vieni, sii la mia luce”, la pregò. “Non posso andare da solo” Le rivelò la sua sofferenza nel vedere l’incuria verso i poveri, il suo dolore per non essere conosciuto da loro e il suo ardente desiderio per il loro amore. Gesù chiese a Madre Teresa di fondare una comunità religiosa, le Missionarie della Carità, dedite al servizio dei più poveri tra i poveri. Circa due anni di discernimento e verifiche trascorsero prima che Madre Teresa ottenesse il permesso di cominciare la sua nuova missione. Il 17 agosto 1948, indossò per la prima volta il sari bianco bordato d’azzurro e oltrepassò il cancello del suo amato convento di “Loreto” per entrare nel mondo dei poveri.
Dopo un breve corso con le Suore Mediche Missionarie a Patna, Madre Teresa rientrò a Calcutta e trovò un alloggio temporaneo presso le Piccole Sorelle dei Poveri. Il 21 dicembre andò per la prima volta nei sobborghi: visitò famiglie, lavò le ferite di alcuni bambini, si prese cura di un uomo anziano che giaceva ammalato sulla strada e di una donna che stava morendo di fame e di tubercolosi. Iniziava ogni giornata con Gesù nell’Eucaristia e usciva con la corona del Rosario tra le mani, per cercare e servire Lui in coloro che sono “non voluti, non amati, non curati”. Alcuni mesi più tardi si unirono a lei, l’una dopo l’altra, alcune sue ex allieve.
Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione delle Missionarie della Carità veniva riconosciuta ufficialmente nell’Arcidiocesi di Calcutta. Agli inizi del 1960 Madre Teresa iniziò a inviare le sue sorelle in altre parti dell’India. Il Diritto Pontificio concesso alla Congregazione dal Papa Paolo VI nel febbraio 1965 la incoraggiò ad aprire una casa di missione in Venezuela. Ad essa seguirono subito altre fondazioni a Roma e in Tanzania e, successivamente, in tutti i continenti. A cominciare dal 1980 fino al 1990, Madre Teresa aprì case di missione in quasi tutti i paesi comunisti, inclusa l’ex Unione Sovietica, l’Albania e Cuba.
Per rispondere meglio alle necessità dei poveri, sia fisiche, sia spirituali, Madre Teresa fondò nel 1963 i Fratelli Missionari della Carità; nel 1976 il ramo contemplativo delle sorelle, nel 1979 i Fratelli contemplativi, e nel 1984 i Padri Missionari della Carità. Tuttavia la sua ispirazione non si limitò soltanto alle vocazioni religiose. Formò i Collaboratori di Madre Teresa e i Collaboratori Ammalati e Sofferenti, persone di diverse confessioni di fede e nazionalità con cui condivise il suo spirito di preghiera, semplicità, sacrificio e il suo apostolato di umili opere d’amore. Questo spirito successivamente portò alla fondazione dei Missionari della Carità Laici. In risposta alla richiesta di molti sacerdoti, nel 1991 Madre Teresa dette vita anche al Movimento Corpus Christi per Sacerdoti come una “piccola via per la santità” per coloro che desideravano condividere il suo carisma e spirito.

In questi anni di rapida espansione della sua missione, il mondo cominciò a rivolgere l’attenzione verso Madre Teresa e l’opera che aveva avviato. Numerose onorificenze, a cominciare dal Premio indiano Padmashri nel 1962 e dal rilevante Premio Nobel per la Pace nel 1979, dettero onore alla sua opera, mentre i media cominciarono a seguire le sue attività con interesse sempre più crescente. Tutto ricevette, sia i riconoscimenti sia le attenzioni, “per la gloria di Dio e in nome dei poveri”.
L’intera vita e l’opera di Madre Teresa offrirono testimonianza della gioia di amare, della grandezza e della dignità di ogni essere umano, del valore delle piccole cose fatte fedelmente e con amore, e dell’incomparabile valore dell’amicizia con Dio. Ma vi fu un altro aspetto eroico di questa grande donna di cui si venne a conoscenza solo dopo la sua morte. Nascosta agli occhi di tutti, nascosta persino a coloro che le stettero più vicino, la sua vita interiore fu contrassegnata dall’esperienza di una profonda, dolorosa e permanente sensazione di essere separata da Dio, addirittura rifiutata da Lui, assieme a un crescente desiderio di Lui. Chiamò la sua prova interiore: “l’oscurità”. La “dolorosa notte” della sua anima, che ebbe inizio intorno al periodo in cui aveva cominciato il suo apostolato con i poveri e perdurò tutta la vita, condusse Madre Teresa a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso l’oscurità partecipò misticamente alla sete di Gesù, al suo desiderio, doloroso e ardente, di amore, e condivise la desolazione interiore dei poveri.
Durante gli ultimi anni della sua vita, nonostante i crescenti seri problemi di salute, Madre Teresa continuò a guidare la sua Congregazione e a rispondere alle necessità dei poveri e della Chiesa. Nel 1997 le suore di Madre Teresa erano circa 4.000, presenti nelle 610 case di missione sparse in 123 paesi del mondo. Nel marzo 1997 benedisse la neo-eletta nuova Superiora Generale delle Missionarie della Carità e fece ancora un viaggio all’estero. Dopo avere incontrato il Papa Giovanni Paolo II per l’ultima volta, rientrò a Calcutta e trascorse le ultime settimane di vita ricevendo visitatori e istruendo le consorelle. Il 5 settembre 1997 la vita terrena di Madre Teresa giunse al termine. Le fu dato l’onore dei funerali di Stato da parte del Governo indiano e il suo corpo fu seppellito nella Casa Madre delle Missionarie della Carità. La sua tomba divenne ben presto luogo di pellegrinaggi e di preghiera per gente di ogni credo, poveri e ricchi, senza distinzione alcuna. Madre Teresa ci lascia un testamento di fede incrollabile, speranza invincibile e straordinaria carità. La sua risposta alla richiesta di Gesù: “Vieni, sii la mia luce”, la rese Missionaria della Carità, “Madre per i poveri”, simbolo di compassione per il mondo e testimone vivente dell’amore assetato di Dio.
Meno di due anni dopo la sua morte, a causa della diffusa fama di santità e delle grazie ottenute per sua intercessione, il Papa Giovanni Paolo II permise l’apertura della Causa di Canonizzazione. Il 20 dicembre 2002 approvò i decreti sulle sue virtù eroiche e sui miracoli.

2012-06-12

J.F. Kennedy fu assassinato per un motivo ben preciso

 Il 22.11.1910 è la data di nascita della Riserva Federale americana.
      Paul Warburg ed altri 7, tra politici e finanzieri, partono per l'isola di Jekyll, dove definiscono il "Piano" che porterà alla creazione della Banca Centrale americana sotto il loro controllo .

Attenzione: loro creano la loro Banca Centrale, che è loro, una banca privata, anche se detta Federal Reserve. Privata come la nostra Banca d'Italia, che non è dello Stato Italiano, ma privata!!! Idem è la Banca Centrale Europea: una banca privata, che stampa miliardi di euro, senza che questi abbiano un corrispondente quantitativo in oro: stampa carta straccia e se la fa pagare a peso d'oro! Ed ecco l'insanabile debito pubblico... È il gioco del Monopoli dei bambinoni europei, eccezion fatta per i furbi inglesi che mantengono la sterlina.

Gli obiettivi principali di J. F. Kennedy, prima della sua morte, erano:
- liberarsi di J.B. Johnson;
- liberarsi J.H. Hoover, capo dell'FBI;
- sostituire la CIA con un'altra agenzia;
- terminare la guerra del Vietnam;
- prendere il controllo della moneta della nazione, togliendola dalle mani delle Banche della Federal Reserve.

 Il 4 giugno 1963, tornando alla Costituzione, che dava al Congresso il compito di stampare e regolare la moneta, con l'Ordine Esecutivo E.O. 11110, J.F. Kennedy ordinò l'emissione, da parte del Tesoro, di 4.292.893.815 dollari, con banconote che non riportavano più la scritta "Federal Reserve Note", ma quella, invece, di "United States Note"!
22. 11. 1963: J. F. Kennedy é assassinato a Dallas


Dopo l'assassino di J.F.Kennedy, il Vicepresidente, J.B. Johnson, presta il giuramento per assumere la carica di Presidente degli Stati Uniti . Subito dopo, J.B. Johnson ordina il ritiro di tutte le banconote fatte stampare da Kennedy col suo Ordine Esecutivo 11110 del 4 giugno 1963!
Per impedire una commissione d'inchiesta, libera e indipendente, sull'assassinio di Kennedy, J.B. Johnson e il capo dell'FBI, J. H. Hoover, crearono la "Commissione Warren" per fornire e avvalorare la versione ufficiale sull'assassinio.
Di questa Commissione fece parte anche J. McCloy, un uomo senza esperienza nel campo del crimine, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale, ma che era, però, il Presidente della Chase Manhattan Bank. 
  Perché la presenza di un banchiere nella Commissione Warren?

Mettiamo a confronto 5 dollari  
Si noti la scritta, in cima alla banconota: FEDERAL RESERVE NOTE = Banconota della Riserva Federale [= banconota di una banca privata] 
ed ora 5 dollari voluti da Kennedy 
Si noti la scritta, in cima alla banconota: UNITED STATES NOTE = Banconota degli Stati Uniti 

Tutti la cercano, tutti la vogliono, ma cosa è la felicità?

Tutti la cercano, tutti la desiderano, tutti la sognano, ma quante persone possono dire di essere felici? E soprattutto cos’è la felicità? Molti, troppi, erroneamente credono che essere felici, sia un obiettivo da raggiungere, attraverso le cose belle e di valore economico possedute, con lo svolgere un buon lavoro, con il rivestire posizioni di potere economico o politico, (oggi) con l’essere visibili e partecipare a trasmissioni televisive, con essere “riconosciuti” dagli altri, con l’avere un rapporto sereno con gli amici e avere la classica famiglia della pubblicità del “Mulino Bianco”. Peccato che nasce sempre qualche intoppo, qualche imprevisto, fatalità o disguido, per lo più dipeso da altri o da fattori esterni che non ci permettono di raggiungere le mete prefisse, e quindi non avendo soddisfatto le nostre aspettative, siamo tristi ed infelici. La realtà è questa, ed è proprio questo l’errore che commettiamo: cercare, rincorrere, lottare per ottenere la felicità, attraverso un modello di aspettative fasulle o irrealizzabili, per il normale e misterioso corso della vita. La felicità dipende da noi e solo da noi, dal nostro atteggiamento mentale con cui affrontiamo ogni situazione quotidiana. Gli eventi che accadono ad ogni persona sono quasi uguali per tutti, gioie, delusioni per un amore non corrisposto, per un abbandono, per un concorso vinto o perso, per una disattenzione o ottusità o menefreghismo di chi abbiamo di fronte, per incomprensioni con il partner, con i familiari, con gli amici, per i lutti, per la ricerca faticosa di un lavoro, della casa, ecc… quello che cambia è la nostra reazione ed accettazione nei confronti di questi avvenimenti inevitabili; e ciò fa la differenza tra l’essere ed il non essere felici. La felicità non deriva da situazioni esterne (quanti personaggi ricchi e famosi, che sembrano avere tutto -fama, successo, soldi, visibilità, potere, compagni ambiti, lusso-, tranne che l’essere felici, vedi Britney Spears) ma è uno stato d’animo interiore, da non confondere con la serenità, la gioia e l’allegria. La serenità è l’assenza di preoccupazioni, di turbamenti e di emozioni forti, uno stato di quiete, tra due avvenimenti emotivi. La gioia e l’allegria sono le manifestazioni emotive esterne, che possono essere conseguenti di uno stato di felicità, ma non sono né la causa né sono assimilabili ad essa. Spesso questi termini, vengono usati indifferentemente, ma hanno significati ben diversi; tanto è vero che si può fingere bene di provare gioia o allegria, ma non di essere felici. Studi scientifici hanno dimostrato, che il cervello attimo per attimo è in grado di creare uno stato di pienezza e soddisfazione: la felicità. Peccato che a bloccare ed impedire il lavoro del cervello arrivano i brutti pensieri, le preoccupazioni e l’ansia.
 Questo avviene perché ci hanno insegnato che la felicità si ottiene con il sacrificio, che il dovere viene prima del piacere, che se si è felici prima o poi ci sarà un prezzo da pagare (con dispiacere, tristezza o eventi negativi), quasi che l’essere felici sia una colpa. La felicità è uno stato naturale, interiore e personale ed accade nel presente; ogni attimo è l’attimo giusto per essere felici, se lo rimandiamo o lo leghiamo ad eventi positivi futuri (ma di cui non vi è certezza), allontaniamo consapevolmente la felicità da noi. Vi sono atteggiamenti che agevolano lo sgorgare della felicità come avere un buon rapporto ed accettare se stessi (autostima), accettare tutti gli eventi che accadono come attori protagonisti e non come vittime (predestinate), vivere nel presente - l’unico tempo che esiste - (il futuro crea ansia, il passato nostalgia e/o frustrazioni), vivere le piccole cose quotidiane, come eventi unici e non scontati o ripetitivi e lasciare la mente vuota da pensieri avvelenanti. L’essere felici è compatibile con qualsiasi avvenimento, anche triste che ci accade, è un diritto naturale e non va condannato dalla morale e dai moralisti (i peggiori nemici del benessere e del vivere in pace con se stessi e con gli altri), secondo cui la felicità è un premio o una colpa, e chi è felice viene definito superficiale, inadeguato, insensibile, sempliciotto, che non è cosciente dei problemi reali ma vive in un mondo tutto suo, fuori luogo, ecc… . 

La leggenda del teschio di cristallo


Negli ultimi vent'anni la pietra più straordinaria e misteriosa che esista al mondo è rimasta in possesso di una signora, che la conserva gelosamente sotto un panno viola su di una mensola di casa. Si tratta di uno stupefacente teschio, dal peso di oltre 5 kg, scolpito in un blocco di cristallo di quarzo puro, appartenuto un tempo a una antica civiltà perduta. Gli occhi sono dei prismi incastonati e si dice che osservandoli si possa scrutare nel futuro. Questa pietra unica è detta il "teschio del destino". Questo brano, ci serve bene come introduzione a uno dei misteri più affascinanti del XX secolo.
Il teschio apparteneva a un esploratore e viaggiatore, un uomo amante dell'avventura di nome Albert ("Mike") Mitchell-Hedges, nato nel 1882.
Alla sua morte, avvenuta nel 1959, la pietra è passata alla sua attuale custode, la figlia adottiva Anna Mitchell-Hedges, classe 1910, la quale ha dichiarato che il teschio proveniva dagli scavi archeologici effettuati presso le rovine di una "città perduta" del Sudamerica, il centro maya di Lubaantun, nell'Honduras britannico. La signora racconta: «Fui io a scorgerlo per prima, o per meglio dire, a segnalare a mio padre che là sotto c'era qualcosa che luccicava. Era la sua spedizione, e noi tutti ci davamo un gran daffare per aiutarlo a rimuovere quella immensa quantità di pietrame. Lubaantun significa infatti "luogo delle pietre cadute". Mi venne concesso di raccoglierlo, perché ero stata la prima a vederlo».

Il mistero dei libri di Thot nell'antico egitto


Considerato l'inventore della scrittura e il custode dei segreti dei movimenti del cielo, secondo l'antica tradizione Egizia a Thot venivano attribuiti vari appellativi tra cui il più famoso è "Thot, Tre Volte Grande", da cui deriva il nome in greco del dio stesso, Ermete Trismegisto.
Figlio di Ra, di cui era anche consigliere, era il dio della Luna, della sapienza, della scrittura, della magia, della misura del tempo e della matematica e geometria. Gli Egizi, che lo raffiguravano con la testa di Ibis, il cui becco somiglia a una Luna crescente, gli attribuivano anche l'invenzione del calendario di 365 giorni.
Il mistero che lo circonda è dovuto, soprattutto, ai libri che avrebbe scritto e nascosto.
Un vero enigma
Ma quale potrebbe essere il nascondiglio di questi libri? E che cosa vi sarebbe scritto? Secondo i "Testi delle Piramidi", il dio Thot avrebbe trascritto i misteri dei cieli in alcuni libri sacri, che poi avrebbe nascosto sulla Terra perché solo i più degni, tra le generazioni future, li trovassero.
Secondo alcune teorie sarebbero nascosti in una camera segreta situata al di sotto della Sfinge, ma le ricerche effettuate con le più moderne tecnologie, sia sotto che nell'area circostante il monumento, non hanno ancora rivelato la presenza di cripte sotterranee. Secondo altre teorie, invece, li avremmo sempre avuti davanti agli occhi. Si tratterebbe dell'intero complesso delle Piramidi di Giza e della Sfinge che, se esaminato nell'insieme, sarebbe una copia "terrena" di una situazione astronomica ben precisa calcolabile grazie alla precessione degli equinozi.
La precessione degli equinozi è un movimento dell'asse terrestre, simile a quello di una trottola, che ne fa cambiare l'orientamento rispetto alla sfera celeste. E’ una rotazione talmente lenta che, per compiere un giro su se stesso, l'asse terrestre impiega quasi 26000 anni, durante i quali la posizione delle stelle sulla sfera celeste cambia, per poi tornare al punto di partenza.
Un calendario di catastrofi?
L'intento degli antichi sarebbe stato quello di trasmettere ai posteri il modo per calcolare la fine di ogni ciclo precessionale, solitamente accompagnato da catastrofi planetarie. Per questo eressero costruzioni talmente imponenti da resistere al peggiore dei cataclismi, monumenti nelle cui proporzioni matematiche e allineamenti astronomici, era contenuto un messaggio che, in questo modo, sarebbe sopravvissuto al trascorrere dei millenni.
In ogni caso l'enigma sull'esistenza dei libri di Thot è, per ora, destinato a rimanere tale anche perché, anticamente la conoscenza veniva trasmessa per via orale.


Antiche testimonianze
Tra i vari testi che ci parlano dei Libri di Thot, forse il passo più esplicativo lo troviamo nel Fedro di Platone. Si trova nel dialogo tra il re Tamo e lo stesso Thot secondo il quale l'invenzione della scrittura è un grande passo avanti per la razza umana. A ciò, il re risponde che la scrittura renderà solo mentalmente pigro l'uomo, diminuendone le facoltà mentali.
Il Primo Tempo
II documento più antico che ci parla di una camera segreta situata nella necropoli di Giza, è il cosiddetto Papiro Westcar, conservato al Museo di Berlino. In tale camera, secondo alcuni studiosi, sarebbero contenuti i Libri di Thot. Il "Testo del Sarcofago" ci parla invece di un "qualcosa" che conterrebbe le emanazioni di Osiride, sigillato nell'oscurità e circondato dal fuoco. Da anni alcuni ricercatori propongono una teoria secondo la quale i Libri di Thot non sarebbero altro che gli Archivi di Atlantide, così come gli stessi dei Egizi ne sarebbero i superstiti, arrivati in Egitto nel cosiddetto "Primo Tempo". Ma a prescindere da tutte le ipotesi, alcune delle quali veramente fantasiose, forse qualche colpo di scena ce lo dobbiamo aspettare anche perché, come sappiamo, l'Egitto è una specie di scatola cinese che si apre ad orologeria quando meno te lo aspetti.

I misteri del Manoscritto 512 e della città perduta di Muribeca


Nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro (sezione manoscritti, opere rare), esiste un documento risalente al XVIII secolo, denominato “Manoscritto 512”, nel quale si narra della scoperta di una meravigliosa città perduta, dove vi erano case di pietra e amplie strade, oltre a numerose iscrizioni incise nelle rocce in una lingua completamente sconosciuta.
Il documento, che fu scritto dal religioso J.Barbosa, fu diretto al Vicerè del Brasile Luis Peregrino de Carvalho Menesez
Il viaggio di esplorazione avvenne nel 1753, quando un gruppo di uomini, guidati da Francisco Raposo e João Silva Guimaraes, s’inoltrarono nelle foreste dell’attuale Stato brasiliano di Bahia.
Innanzitutto bisogna considerare che, circa 270 anni or sono, l’odierno Stato di Bahia era dominato da orde di Aimorés e Pataxò, nativi bellicosi le cui terre furono conquistate solo dopo molti anni. Avventurarsi all’interno della cosidetta “mata atlantica”, la selva tropicale che purtroppo ora è ridotta solo a piccoli tratti, era molto pericoloso.
Francisco Raposo era in cerca delle fantasmagoriche miniere d’oro e d’argento di Muribeca, la cui localizzazione fisica era sconosciuta.
La leggenda delle miniere di Muribeca risale al XVI secolo quando il portoghese Diego Alvarez fu l’unico soppravvivente di un disatroso naufragio presso la costa del Brasile.
Fu salvato da alcuni indigeni Tupi-Guaraní e, nei mesi successivi, imparò l’idioma dei nativi e si sposò con una giovane, detta Paraguaçú. Alvarez ebbe vari figli e nipoti. Uno di questi, che visse a lungo con gli autoctoni Tupi, fu chiamato Muribeca. In seguito ad un viaggio nell’interno del continente, guidato da nativi Tapuais, Muribeca trovò una ricchissima miniera d’oro, argento, diamanti, smeraldi e rubini. Con il tempo organizzò lo sfruttamento della miniera e divenne ricchissimo, in quanto vendeva pepite d’oro e pietre preziose nel porto di Bahia (oggi Salvador). Il figlio di Muribeca, il cui nome era Roberio Dias, era molto ambizioso, e durante un viaggio in Portogallo, nei primi anni del 1600, chiese al re Pedro II il titolo di marchese.
Il re promise di concedere l’agognato titolo, ma solo se Roberio Dias avesse rivelato il segreto di suo padre e avesse consegnato le miniere alla Corona portoghese.
Roberio Dias accettò, ma quando la spedizione giunse a Bahia, poço prima d’iniziare il viaggio per le miniere, persuase l’ufficiale del re a farsi aprire la lettera che conteneva il titolo di marchese. Si rese conto invece che conteneva solo un titolo di poca importanza, ovvero capitano di missione militare. Si rifiutò cosi d’indicare il cammino per le miniere, e fu imprigionato per lunghi anni.
Quando morì, nel 1622, si portò con sè nella tomba il segreto dell’esatta ubicazione delle miniere trovate e sfruttate da suo padre, Muribeca.

2012-06-11

Il fenomeno del Sole di Mezzanotte


Il Sole di Mezzanotte è un particolarissimo fenomeno astronomico che si presenta solo ed esclusivamente nelle regioni al di là del circolo polare artico. Il periodo in cui è possibile ammirarlo è in prossimità del solstizio d’estate: in tal periodo infatti l’inclinazione dell’asse di rotazione della terra raggiungere latitudini superiori rispetto al normale (circa 66° e 33’) così che il sole è impossibilitato a scendere al di sotto dell’orizzonte. Tale fenomeno quindi causa la mancata presenza della notte!
A settanta gradi di latitudine il sole non tramonta mai per circa 17 giorni, a 80° per 70 giorni e ai poli, i quali raggiungono i 90°, il sole non cala per sei mesi.
Sostanzialmente essendo il polo sud non abitato, l’esperienza è ristretta alle popolazioni del circolo polare artico e quindi anche a chi soggiorna in Lapponia. A volte a causa delle rifrazioni il fenomeno del Sole di Mezzanotte può essere visibile anche a regioni più a sud rispetto al circolo polare artico, come ad esempio in Islanda

Accomunato al fenomeno del Sole di Mezzanotte a volte troviamo anche quello della Notte Bianca. Nelle regioni che si trovano a latitudini inferiori rispetto al circolo polare il sole in realtà tramonta dietro all’orizzonte, ma a causa della rifrazione, la luce del crepuscolo riesce a sostituire i raggi solari ed è possibile svolgere qualsiasi attività senza il bisogno di luce artificiale.

Un enorme problema causato dal Sole di Mezzanotte si ha nelle popolazione che ci convivono per tutta la loro esistenza. Moltissimi trovano complicato riuscire a dormire durante le ore della notte poiché il sole continua a risplendere nel cielo. In genere sono effetti da questo problema anche i comuni visitatori che ovviamente non sono abituati al fenomeno, ma ovviamente nei nativi le problematiche si fanno più complesse. Gli esperti affermano che molto spesso gli abitanti che si sottopongono per lunga durata al fenomeno finiscono per essere affetti da disturbi psichici, tra le più famose quella chiamata SAD, in inglese Seasonal Affective Disorder, che vede un cambiamento repentino della personalità in base ai cambiamenti stagionali.

2012-06-06

Salvo D'Acquisto, un eroe da non dimenticare


Salvo D'Acquisto nasce il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, in via S. Gennaro Antignano n. 2, da Salvatore D'Acquisto, nativo di Palermo, e Ines Marignetti, napoletana. Primo di cinque fratelli, Franca, Rosario, Erminia e Alessandro.

Frequenta l'asilo Maria Ausiliatrice e le elementari nella scuola "Vanvitelli"; mette poi a profitto due anni di Avviamento professionale presso la scuola "Della Porta" e due all'Istituto dei Salesiani. A Roma si prepara per la licenza liceale.
I professori lo definiscono riservato, prudente e di poche parole, i compagni lo ricordano altruista, sincero e difensore dei più deboli.

Nella primavera del 1939 riceve la cartolina militare per il richiamo di leva, qui prende la decisione di arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri, in cui hanno militato, da parte di madre, il nonno (Mar. Biagio Marignetti) e uno zio e in cui, al momento dell'arruolamento, militano ancora due altri zii, uno materno e uno paterno.
L'arruolamento realizza il suo ideale del "dovere come missione" a difesa dei più deboli e dei più umili, il suo desiderio di operare per la giustizia, un sentimento che lo guiderà per tutta la vita.

Salvo viene assegnato alla Legione Allievi Carabinieri di Roma.
Il 15 gennaio 1940 diventa carabiniere.
Promosso carabiniere, è destinato alla Legione Territoriale di Roma, dove, per qualche mese, presta servizio a Roma Sallustiana, al Nucleo "Fabbriguerra".

Siamo nel mese di Giugno 1940, l'Italia entra in guerra e Salvo viene inviato come volontario in Africa, cosa che si realizza il 15 novembre 1940, quando si imbarca a Napoli per Palermo, destinazione finale: laTripolitania.
Dopo un mezzo naufragio della nave, Salvo sbarca a Tripoli il 23 novembre, con la 608a  Sezione CC, addetta alla Divisione Aerea "Pegaso", che viene subito inviata in zona di operazioni.

Salvo è un ragazzo riflessivo, di poche parole. I colleghi gli vogliono bene per il suo carattere disponibile, cordiale, per la sua capacità di condividere gioie e dolori e per il suo spirito di solidarietà.
Salvo è un punto di riferimento non solo per i commilitoni, ma anche per i familiari.
Dal carteggio con i genitori si nota che egli condivide poco della facile retorica dell'epoca. Non solo non nutre odio verso i nemici, ma anzi auspica che, in futuro, «i rapporti internazionali possano essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e dalla giustizia sociale».
Verso la fine del febbraio del 1941, Salvo viene ferito ad una gamba.
Resta in Africa sino al 7 settembre 1942 allorchè torna in Patria perchè ammesso al Corso Allievi Sottufficiali, presso la Scuola centrale di Firenze.

Superati brillantemente gli esami alla Scuola di Firenze, Salvo viene promosso vice brigadiere (15 dicembre 1942) ed assegnato alla Stazione di Torrimpietra, una cittadina distante una trentina di chilometri da Roma.
Qui vive gli ultimi nove mesi della sua vita (in paese è amato e stimato da tutti) e da qui gli giungono le notizie delle tragiche vicende che vive
la Nazione, la caduta del regime, l'armistizio dell'8 settembre e poi lo sfacelo generale.

La sera del 22 settembre 1943, un soldato di un reparto di SS insediatosi in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, rimane ucciso per lo scoppio di una bomba,due rimangono feriti.
Le versioni finora riportate si differenziano, i tedeschi "gridano" all'attentato, più probabile invece l'ipotesi di un incidente, magari rovistando imprudentemente in una cassetta con all'interno delle bombe a mano lasciata dagli "ex inquilini" della caserma, i finanzieri.
La mattina seguente, comunque, la reazione dei tedeschi non si fa attendere, il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere D'Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell'accaduto.
Salvo tenta inutilmente di convincerlo che si è trattato di un incidente, inutilmente.
Più tardi, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso
la Torre
di Palidoro, per essere fucilati.
Salvo prova ancora una volta a convincere l'ufficiale tedesco della casualità dell'accaduto, ma senza esito. I tedeschi costringono gli ostaggi a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude.
Per salvare i cittadini innocenti, Salvo (ovviamente totalmente estraneo ai fatti) si autoaccusa come responsabile dell'attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati (un gesto che ancora oggi rimane uno dei massimi esempi di coraggio e nobiltà d'animo nella storia del nostro Paese).
Subito dopo il loro rilascio, il vice brigadiere Salvo D'Acquisto viene freddato da una scarica del plotone d'esecuzione.

dal sito http://www.salvodacquisto.com/

Cosa è il Segreto di STATO


Il segreto di Stato è un vincolo posto su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui divulgazione può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato.
Si tratta di un atto politico che può essere disposto esclusivamente dal Presidente del Consiglio dei ministri in quanto vertice del potere esecutivo.
Quanto agli effetti, il segreto di Stato:
  • impedisce all’Autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione delle notizie sulle quali è apposto
  • si differenzia dalle classifiche di segretezza (la cui attribuzione ha natura di atto amministrativo) che non sono opponibili all’Autorità giudiziaria
Considerata l’importanza degli effetti, la legge prevede dei limiti all’esercizio di questa prerogativa del Presidente del Consiglio:
  • limiti oggettivi: il segreto di Stato non può mai riguardare informazioni relative a fatti eversivi dell’ordine costituzionale (ipotesi già prevista dalla legge 801/77) o concernenti fatti di terrorismo, delitti di strage, associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale di stampo politico-mafioso (ipotesi aggiunte dalla riforma)
  • sistema di controllo: il Presidente del Consiglio deve comunicare i casi di conferma del segreto di Stato al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) che, se ritiene infondata l’opposizione, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni 
  • limiti temporali: la durata del vincolo non è più illimitata ma fissata in 15 anni, ulteriormente prorogabili dal Presidente del Consiglio. La durata complessiva non può essere superiore a 30 anni
Infine, la legge 124/07 dispone che se l’opposizione del segreto di Stato determina un contrasto con l’Autorità giudiziaria a decidere sia la Corte Costituzionale, organo nei cui confronti il segreto di Stato non può, in nessun caso, essere opposto.



2012-06-05

Maiori - Il castello di San Nicola de Thoro-Plano


Il Castello di Maiori sorge sulla sommità del colle che domina le contrade Accola e Carpineto. In realtà, l'antico manufatto non può essere considerato un castello nel senso letterale del termine, vale a dire come dimora protetta e trincerata, oltreché centro giurisdizionale, di un signore feudale. Costituiva, piuttosto, una rocca, una fortezza eretta come baluardo e rifugio della popolazione contro le frequenti scorrerie dei predoni longobardi e, in seguito, dei pirati barbareschi.
Secondo il Cerasuoli, l'opera fu iniziata pochi anni dopo la morte di Sicardo, duca longobardo di Benevento, avvenuta nell'anno 840. Il predetto Sicardo aveva, nell'anno precedente (839), devastato e saccheggiato le contrade della Costiera d'Amalfi.
La costruzione della rocca si era sviluppata attorno ad un'antica chiesa dedicata a S. Nicola de Thoro-Plano.
Tuttavia l'edificio, nella forma che presenta attualmente, fu fatto erigere, o fu restaurato ed ampliato, dai duchi Piccolomini (di famiglia Senese), i quali, nel 1461, erano stati nominati da Ferdinando I d'Aragona feudatari del Ducato di Amalfi.
La costruzione definitiva fu iniziata nel 1465 ed ultimata nel 1468: Costò alla città seimila ducati. Leggiamo come veniva descritto il castello, verso la fine del XV secolo, dallo storico Michelangelo Gizzio di Ravello, autore del saggio De tuitione Regii Demanii status Amalphiae (La difesa del Regio Demanio dello Stato di Amalfi):"...et in nobili et fortissima Terra Majoris, quae propter turres in maritimis constructas, ceneis tormentis munitas, et fortissimo castro in eminenti ori parte ipsius Terrae, quod Sancti Nicolai dicitur quasi inexpugnabilis redditur." (...e nella nobile e fortissima Terra di Maiori, la quale grazie alle torri costruite sul mare, munite di cannoni, e grazie ad un unitissimo castello, che si trova nella parte più alta della medesima Terra, che si chiama di San Nicola, è resa quasi inespugnabile").
La fortificazione, come si è detto, racchiudeva all'interno un'antica chiesa trinavata con annesso campanile, dedicata a San Nicola de Thoro-Plano. Vale la pena di menzionare che Thoro plano sta ad indicare un poggio, un'altura dal rilievo dolce, in contrapposizione al fronteggiante Thorus clivus, colle ripido, che oggi viene comunemente chiamato Torina o Tuoro, e corrisponde alla zona posta a monte delle contrade "Campo" e "Paie". Conviene ricordare che anche alle pendici del Torina (Thorus clivus) era stata costruita nel IX secolo una imponente rocca, protetta da un torrione e da un campo trincerato, dedicata a San Michele Arcangelo; la posizione di questa rocca permetteva l'esercizio di uh sistema di segnalazioni con il Castello de Thoro-Plano, in caso di emergenza.
Tornando a quest'ultimo è opportuno aggiungere che all'interno del perimetro fortificato si trovavano caserme e ricoveri, capaci di ospitare una folta guarnigione, nonché centinaia di cittadini rifugiati; vi erano, inoltre, magazzini e cisterne; né mancava una sorgente che sgorgava dal lato di ponente, dirimpetto a fossa Lupara (Santa Caterina), che assicurava l'approvigionamento di acqua in caso di assedio prolungato. L'edificio, come si presenta attualmente, conserva ancora la forma originaria, con un perimetro poligonale rettangolo che si sviluppa per circa 550 metri. Le cortine menate, munite di feritoie e contrafforti, sono intervallate da nove torri celle cilindriche alte circa otto metri, con un diametro di cinque metri.

BRANI TRATTI DAL LIBRO DI F. CERASUOLI SULLA CITTA' DI MAIORI

"...Ed un vasto castello da rifugio, pegli estremi casi di espugnazione del baluardo, venne costruito sulla prominenza della Posula, fralle contrade Accola e Carpineto, dirimpetto in distanza diretta un terzo di miglio, ai descritti fortilizii S. Angelo e S. Sebastiano; formato da un circuito di mura, che distendeasi, come vedesi tuttora, per 270 passi geometrici, o pressochè 550 metri lineari, in una figura indefinibile, or più or meno a pendìo, con nove torri semicircolari, a varie distanze, munito similmente di merli, feritoie, spaldi e contrafforti; pieno di caserme, di casolari ancora capaci di alloggiare una forte guarnigione non meno chè molte centinaia di cittadini; opportunamente provveduto di magazzini e cisterne, oltre una polla nella china di ovest; e fornito pure di una chiesa trinavata con adiacente campanile, nella pendice meridionale, sotto il titolo di S. Nicola de Thoro-Plano, da cui prendeva nome il castello medesimo.
Tali fortificazioni stettero salde a varie aggressioni, persino alla seconda dei Pisani, avvenuta nel 1137, quando, due anni dopo la prima, avendo Amalfi capitolato, e gli altri castelli della Costiera resistito, vennero questi ad estremi sforzi espugnati e distrutti. Quei di Majori furono ristaurati, e consta tuttora il ristauro: degli altri rimane poco più che una rimembranza.
Del Castello de Thoro-Plano sussistono le mura e le torri, bastantemente risparimiate dalla edicità del tempo. Fino a 40 anni addietro restava pure buona parte dei casolari e caserme; or'appena qualche avanzo. A quel tempo esistevano benanche le mura della chiesa col campanile, benché soppressa fin dal 1593, allorchè ne furono incamerate le rendite alla massa capitolare della insigne collegiata, di cui terremo discorso a suo luogo. Piucchè il tempo, la improbità e la indolenza, non fanno essere in migliore stato questo monumento, che fino a po' fa gli stranieri visitavano, ed i paesani, nelle feste di Pasqua e di Pentecoste, ogni anno esilaravano; ed ora pur questo dalle politiche vicende interdetto, messo l'interno a coltura dal capitolo della collegiata predetta, da cui si possiede...
".

Orario visite: 8-13
Per visite su appuntamento telefonare al numero +39 089852600 (sig. Crescenzo De Martino)

Aulin - Nimesulide , il pericoloso farmaco venduto solo in Italia mentre l'europa lo vieta


In Italia viene consumata una percentuale pari al 60% della produzione mondiale, ma qualche altro Paese europeo si è già accorto della sua pericolosità; stiamo parlando del principio attivo Nimesulide, commercializzato in Italia con il nome di Aulin (e non solo).
In altri paesi come Spagna, Finlandia e Irlanda non viene venduto dal 2002 dopo che diversi pazienti hanno subito un trapianto di fegato per i gravi danni causati, probabilmente, da questo medicinale.
In mercati ghiotti come Giappone e Stati Uniti per il principio attivo non è stato nemmeno mai richiesta la registrazione.

Vi dico solo che un paio d’anni fa, da un’inchiesta del pm Raffaele Guariniello, è emersa la presenza di un filmato che ritraeva il numero due dell’agenzia, Pasqualino Rossi, mentre riceveva una mazzetta da un mediatore di una casa farmaceutica per “lasciare tranquillo” l’Aulin.
Invece di lamentarsi per la vendita libera dei medicinali anche all’interno dei supermercati, sarebbe il caso che i farmacisti di tutta Italia protestino per la commercializzazione di questo farmaco pericolosissimo.
Il problema è che, come si sa, in Italia si va avanti esclusivamente con la corruzione.


Il nimesulide è una molecola appartenente alla categoria dei farmaci anti infiammatori non steroidei (FANS). È un inibitore "preferenziale" della COX-2 con selettività non elevata, tale caratteristica lo colloca a metà strada tra i FANS classici non selettivi (naprossene, diclofenac) ed i COX-2 selettivi (celecoxib); presenta quindi una leggera gastrolesività. Il nimesulide dà analgesia e viene usata soprattutto nei dolori acuti (emicrania, dolori dentali e mestruali).
La protezione brevettuale è scaduta da tempo ed è pertanto disponibile sia come farmaco di marca (il più noto è Aulin, lanciato nel 1985 in Italia) sia come farmaco generico o equivalente.

2012-06-04

Un grande popolo quasi estinto, i MAYA


I Maya non conoscevano la ruota e non avevano animali da tiro cosicchè costruirono una fittissima rete di canali con i quali riuscivano a trasportare tutte le loro merci. I Maya che tutt'ora vivono nei territori in Guatemala, Salvador, Yucatan e Honduras sono i diretti discendenti di quella antica civiltà distrutta dai conquistadores spagnoli. Fisicamente sono individui tarchiati, con gambe muscolose visi molto larghi e zigomi sporgenti. Hanno capelli neri ed occhi scuri e il tipico naso adunco.

I Maya erano grandi astronomi e innalzavano dei monumenti per iscrivere date e aggiungevano sotto le date i movimenti di Venere o degli dei regnanti in quel periodo, infatti per loro i giorni erano dei avevano un numero ed un nome ed era retto da una coppia di Dei. Le città erano centri di raduno infatti il popolo viveva nei paraggi e si spostava in occasione dei mercati, feste religiose o spettacoli. Lo stato Maya era ben organizzato e necessitava di architetti scultori pittori operai ed era governato da un Halac Vinic "Vero Uomo" che si spostava solo su lettiga con un copricapo di piume alto un metro le sue vesti e gli ornamenti erano ricchi. C'era poi un Batab "Governatore" vari esattori funzionari capitani e sacerdoti veri e propri intellettuali. Le capanne delle famiglie Maya contenevano dei letti modesti, le immagini degli dei, utensili, attrezzi per seminare, telai su cui filavano le donne, trappole per animali, un mortaio per il mais, recipienti di legno, i caratteristici ponchos che servivano per coperta di notte e mantelli di giorno.

A base dell'agricoltura c'era la coltivazione del mais su un terreno molto fertile però poco profondo, bastava infatti fare un buco con un bastone e gettarvi il seme per avere il raccolto. Venivano inoltre coltivati fagioli, cotone, canapa, patate dolci e cacao. Pescavano molto pesce e si cacciavano daini armadilli tartarughe conigli fagiani vi erano tacchini polli e anatre. Ai bambini si appiattiva la testa inoltre gli si procurava un accentuato strabismo. Quando i giovani Maya arrivavano alla maggiore età (14 anni i maschi, 12 le femmine) i sacerdoti versavano acqua purificata sui ragazzi facendoli diventare a tutti gli effetti adulti. Per quando riguarda la religione sappiamo che i Maya adoravano molti dei e che praticavano molti sacrifici umani, resta però il mistero della loro scomparsa molti studiosi hanno formulato varie ipotesi ma al giorno d'oggi la verità resta sconosciuta.






Principali date della storia della civiltà Maya

300/900
Civiltà Maya Classica
889 Ultime scritte su stele e abbandono della città tempio nella regione boscosa del Guatemala
987/1204 Periodo Messicano nello Yucatan
1007 Fondazione della lega di Mayapan
1204 Cacciata degli Itza e fine della Lega
1204/1441 Rinascimento Maya nello Yucatan
1441 Distruzione di Mayapan e Predominio dei Cocom di Mayapan
1441/1546 Epoca del declino fine del potere centrale, guerre civili, catastrofi naturali
1511 Primo sbarco degli Spagnoli sotto Valvidia
1527/1546 Conquista dello Yucatan
1523 Spedizione di Alvarado verso l'altipiano del Guatemala
1546/1547 Grande rivolta dei Maya nello Yucatan
1697 Gli Itza di Yaijsal del Guatemala Settentrionale si arrendono