2012-06-12

La leggenda del teschio di cristallo


Negli ultimi vent'anni la pietra più straordinaria e misteriosa che esista al mondo è rimasta in possesso di una signora, che la conserva gelosamente sotto un panno viola su di una mensola di casa. Si tratta di uno stupefacente teschio, dal peso di oltre 5 kg, scolpito in un blocco di cristallo di quarzo puro, appartenuto un tempo a una antica civiltà perduta. Gli occhi sono dei prismi incastonati e si dice che osservandoli si possa scrutare nel futuro. Questa pietra unica è detta il "teschio del destino". Questo brano, ci serve bene come introduzione a uno dei misteri più affascinanti del XX secolo.
Il teschio apparteneva a un esploratore e viaggiatore, un uomo amante dell'avventura di nome Albert ("Mike") Mitchell-Hedges, nato nel 1882.
Alla sua morte, avvenuta nel 1959, la pietra è passata alla sua attuale custode, la figlia adottiva Anna Mitchell-Hedges, classe 1910, la quale ha dichiarato che il teschio proveniva dagli scavi archeologici effettuati presso le rovine di una "città perduta" del Sudamerica, il centro maya di Lubaantun, nell'Honduras britannico. La signora racconta: «Fui io a scorgerlo per prima, o per meglio dire, a segnalare a mio padre che là sotto c'era qualcosa che luccicava. Era la sua spedizione, e noi tutti ci davamo un gran daffare per aiutarlo a rimuovere quella immensa quantità di pietrame. Lubaantun significa infatti "luogo delle pietre cadute". Mi venne concesso di raccoglierlo, perché ero stata la prima a vederlo».

L'oggetto era stato trovato proprio sotto quello che pareva essere stato l'altare di un tempio maya. La data ricordata dalla signora Anna è il 1924, in disaccordo con una sua precedente dichiarazione in cui aveva detto di averlo trovato proprio il giorno del suo diciassettesimo compleanno, come a dire tre anni più tardi. Ciò che aveva trovato, consisteva nella parte superiore del teschio, perché il resto, ossia la mandibola, era stata scovata tre mesi dopo sotto altre macerie, in un sito leggermente discosto rispetto al primo. Resosi conto che quel prezioso oggetto era un'eredità degli indigeni locali, discendenti diretti dell'antico ed evoluto popolo che l'aveva realizzato, Mitchell-Hedges aveva deciso di lasciarlo alla gente del posto. Quando però, durante la stagione delle piogge del 1927 stava apprestandosi a fare rientro in Inghilterra, i maggiorenti del luogo glielo avevano restituito, in segno di gratitudine, per la sua gentilezza e per la correttezza del suo comportamento. Come sappiamo, anche i Maya sono un meraviglioso, intrigante enigma. Anche se i loro più antichi antenati risalgono a circa 1500 anni prima della nostra era, la fioritura della loro straordinaria civiltà si registrò solo fra il 700 e il 900 AC. Durante questa fase i Maya svilupparono una civiltà altissima che conosceva la scrittura, la matematica, disponeva di un preciso calendario e realizzava imponenti opere scultoree e architettoniche. Poi, di colpo, tutto era scomparso, la civiltà maya era crollata e nessuno ancora oggi sa perché. Qualcuno parla di catastrofi naturali e terremoti, ma non vi sono riscontri. Né si hanno tracce di violenze. Insomma, un mistero. Sembra che i Maya abbandonassero volontariamente le loro città per disperdersi in altre località sperdute. Dopo di che la loro civiltà, un tempo e mirabile, era ripiombata nell'anonimato. Anche la parziale decifrazione dei loro scritti non ci è di grande aiuto. Secondo Mitchell-Hedges esisteva una stretta correlazione fra i Maya e il leggendario continente di Atlantide, che la leggenda dice sia stato sommerso dalle acque dell'oceano Atlantico nella notte dei tempi. Un altro esploratore, il colonnello Percy Fawcett, sosteneva di aver trovato le prove attestanti che i sopravvissuti di Atlantide avevano raggiunto il Sudamerica e che in Brasile stava nascosta la risposta a tanti interrogativi. Nel 1924 Fawcett era scomparso nel corso di una spedizione in Brasile. Mitchell-Hedges concordava con la sua ipotesi, ma riteneva che gli Atlantidei fossero stanziati più a nord, nella penisola dello Yucatan o nel Centro America. La spedizione in Honduras nel corso della quale era stato trovato il teschio, era volta a dimostrare proprio questa teoria. Mitchell-Hedges non aveva rintracciato alcuna prova in merito, ma in compenso era riuscita a venire a capo di alcune indicazioni riguardanti il tesoro perduto del celebre Sir Henry Morgan, il pirata che nel XVII secolo aveva preso (con non poca crudeltà) la città di Panama. Che cosa sappiamo, in realtà, del "teschio del destino"? Di importante, pressoché nulla. Risulta ricavato da un unico blocco di roccia cristallina o quarzo chiaro. Secondo Mitchell-Hedges vantava circa 3600 anni; il che voleva dire almeno mille anni prima ancora delle prime tracce storiche attribuite alla civiltà dei Maya. Per realizzarlo erano occorsi almeno 150 anni, per ripulire e scolpire, poco a poco, il duro blocco di quarzo con l'azione di sabbia finissima. Nel suo “Gli extraterrestri torneranno?” Erich von Daniken va ancora oltre, quando dice (sbagliando): «Nel teschio e nella sua perfetta fattura, non c'è traccia che riveli l'uso di un attrezzo di lavorazione a noi noto». Per lui, infatti, il teschio è stato elaborato dagli «antichi astronauti», quegli stessi visitatori a cui dobbiamo la costruzione della Grande Piramide. Un esperto di cristalli, Frank Dorland, ha confessato di essere in grado di realizzare un oggetto simile in tre anni, a condizione però di poter disporre di tutti i mezzi messi a disposizione dall'attuale tecnologia. A proposito dell'origine del teschio, gli esperti hanno idee diverse. Per alcuni venne realizzato in Messico, scolpendo un blocco cristallino proveniente dalle cave messicane della contea di Calaveras o dalla California, e non dovrebbe avere più di 500 anni.
 Se questa datazione è corretta, contrasta in pieno con quanto sostenuto da Mitchell-Hedges, che disse di averlo ritrovato fra le rovine di un antico tempio maya, abbandonato da almeno un migliaio di anni. In merito agli Aztechi - i più probabili costruttori del teschio - fondarono la loro grande capitale Tenochtitlan soltanto nel 1325 d.C. Peccato che questa sia però l'ipotesi condivisa dalla maggior parte di coloro che hanno avuto a che fare con il teschio. Non ci sono dubbi sul fatto che Mike Mitchell-Hedges fosse un uomo di assoluto valore, come d'altro canto nessuno può dubitare della grande devozione e fedeltà mostrata nei suoi confronti dalla figlia adottiva Anna. Quando si erano incontrati a Toronto nel 1917, Anna era una piccola orfana di sette anni. Si chiamava Anna Le Guillon e, al momento, era stata affidata a un uomo che aveva tutte le intenzioni di liberarsene rinchiudendola in un orfanotrofio. Toccato dalla sua penosa vicenda, Mitchell-Hedges aveva deciso di adottarla, compiendo un gesto che nessuno dei due avrebbe mai rimpianto nel corso della vita. Oltre al coraggio e al formidabile slancio di esploratore, al contrario del capitano Scoti o del già citato colonnello Fawcelt, Mitchell-Hedges era un tipo decisamente vulcanico, più vicino a quel fanfarone del capitano Morgan, il pirata sulle piste del cui tesoro Mike si era messo. Era un uomo pieno di senso dell'umorismo, ironico, che amava incatenare il prossimo raccontando - e forse anche scrivendo - storie mirabolanti e affascinanti. Lui stesso ammetteva di dovere la sua vita di avventuriere alla lettura giovanile delle opere di Rider Haggard e ai racconti di Lost World di Sir Conan Doyle; d'altro canto i suoi stessi libri si allineavano su questo registro - riflettendo il carattere di un uomo che, dopo tutto, seppure maturo, era rimasto con l'animo e la mentalità di un ragazzo. Insomma, non era meno propenso alla bugia di quanto non lo potesse essere un avventuriere elisabettiano nato per sbaglio fuori dal proprio tempo. Le male lingue sostengono che Mitchell-Hedges avesse comprato il teschio di cristallo a Londra, se lo fosse portato appresso alle rovine di Lubaantun per farlo trovare alla figlia proprio il giorno del suo diciassettesimo (o quattordicesimo) compleanno. Un'azione, a detta di molti, di cui sarebbe stato senz'altro capace. Anche dalla lettura della sua autobiografia del 1954, si evince che i fatti non si svolsero in modo così lineare e piano, come narrati dalla figlia Anna. Ci si aspetterebbe che una scoperta così importante meriti almeno qualche pagina di accurata descrizione ed invece niente di tutto questo. Solo poche righe, con questa annotazione misteriosa: «Non ho motivi di rivelare a nessuno in quale modo sono venuto in possesso del teschio di cristallo». Onestamente, non si capisce perché, dal momento che, al contrario, la figlia Anna se ne occupa in modo alquanto dettagliato. Forse perché avrebbe potuto accrescere i meriti del padre adottivo? Tutto questo risulta ancora più stravagante se solo si considera che Mike spende non poche pagine a descrivere in modo quanto mai preciso alcuni altri oggetti di molta minore importanza ritrovati nel corso degli scavi a Lubaantun. Senza osservare che anche le pur minime citazioni al teschio scompaiono completamente nell'edizione americana del libro. Viene da chiedersi: d'accordo a non voler più sostenere la bugia, ma perché non approfittare dell'occasione per dire la verità? Da parte sua Anna Mitchell-Hedges non ha mai avuto esitazioni a confermare appieno il racconto del ritrovamento. Il giornalista del «Daily Express» Donald Seaman, racconta di averlo sentito narrare direttamente dalla signora. Nel 1962 Seaman, occupato nella redazione di un libro di spionaggio, si era imbattuto nella fotografia di una spia recentemente scoperta, Gordon Lonsdale, dove l'uomo era ritratto in mezzo a due donne di mezza età. Accurate ricerche avevano rivelato che una delle due era Anna Mitchell-Hedges. Incuriosito dallo strano collegamento - che ci faceva la signora Anna con una spia riconosciuta? - Seaman l'aveva contattata presso la sua casa di Reading, chiedendo di poterla incontrare. Ottenuto il consenso, Seaman era andato, facendosi accompagnare dal fotografo Robert Girling. All'epoca la signora Anna era una vigorosa, piacente signora nel pieno dei suoi cinquant’anni, pronta a riceverli agghindata nel suo bell'abito. La storia relativa alla fotografia si era rivelata abbastanza banale. Era stata scattata all'interno di un castello storico, dove lei e alcuni suoi amici si erano ritrovati casualmente a parlare con l'uomo, incontrato sul momento, che si sarebbe poi trovato al centro del celebre caso di spionaggio del caso di Portland. Un fotografo professionista a caccia di clienti era passato proprio in quel momento, aveva notato il gruppo affiatato e aveva proposto di scattare una fotografia. Anna aveva pagato lo scatto e qualche giorno dopo aveva ricevuto la fotografia a casa. Non aveva mai più visto né sentito parlare di Lonsdale fino a quel momento. A quel punto, quasi delusa di averli fatti correre fin da lei a Reading per scoprire un caso inesistente, una mera banalità, come volendosi sdebitare, aveva allora chiesto se desiderassero vedere il famoso “teschio del destino”. Nessuno dei due ne aveva mai sentito parlare prima, e così, più che altro per cortesia, avevano assentito. Anna li aveva condotti in camera da letto, dove, cercando a tentoni dietro la spalliera del letto, aveva tirato fuori qualcosa. Aspettandosi di vedere un oggetto non più grande di un uovo, Seaman si era meravigliato nel constatare che la cosa racchiusa in una carta da giornale che la signora Anna aveva estratto da dietro il letto, era invece grande quanto un cavolo. Poi si erano spostati nel salone dove la signora Anna aveva svolto il pacchetto. Sia Seaman che Girling erano rimasti letteralmente sbigottiti al cospetto di quell'oggetto bellissimo e unico, appoggiato sul tavolo. Il teschio, grande come quello di un uomo, sembrava ricavato da un diamante perfetto: alla luce del crepuscolo assumeva una tonalità verdastra, quasi come se brillasse di una propria luce interiore o fosse illuminato al di sotto. La mascella inferiore era mobile come quella umana, particolare che aggiungeva un tocco di straordinario effetto realistico a tutto l'insieme. Tornando, si erano trovati d'accordo nel constatare che fino a quel momento nessuno dei due aveva mai visto un oggetto tanto bello e soprattutto, così stranamente inquietante. La signora Anna aveva detto loro che si trattava del "teschio del destino", ritrovato in un tempio maya nel 1927. Il nome gli era stato dato dagli indigeni, convinti che in virtù dei suoi poteri sovrannaturali l'oggetto andava trattato col massimo rispetto e con grande reverenza. Già erano fiorite leggende su persone andate incontro a gravi disgrazie per il solo fatto di non aver rispettato abbastanza il misterioso teschio. Il racconto era proseguito. In quell'ormai lontano 1927, suo padre si era messo sulle tracce del favoloso tesoro del pirata Henry Morgan, che la leggenda diceva sepolto nel 1671. Era venuto a sapere che nella zona attorno al sito archeologico di Lubaantun, nell'Honduras Britannico, molti fra i nativi si chiamavano Hawkins e Morgan. Era un'opportunità; per di più suo padre era convinto che sempre in quei luoghi fossero approdati i superstiti della distrutta Atlantide. Tuttavia, il teschio era stato l'unico manufatto antico che erano riusciti a trovare. Ora che il padre non c'era più (era morto nei 1959), Anna aveva intenzione di ritornare in Honduras alla caccia del tesoro e allo scopo di mettere insieme i fondi necessari per la spedizione aveva pensato di vendere il teschio, e un'antica ciotola donata da Nell Gwyn a re Cario II sulla cui autenticità già si erano favorevolmente espressi gli esperti.
«Ma quanto potrà valere il teschio?» aveva chiesto Seaman.
«Forse un quarto di milione di dollari».
«Dio mio! Ma non avete paura a tenervelo in casa, sotto il letto?»
«Non proprio, penso di poter tenere testa a qualsiasi malintenzionato» aveva risposto decisa la signora Anna, e scostando un poco la gonna aveva messo in mostra una colt 45.
Per un certo momento si era pensato che il «Daily Express» avrebbe potuto finanziare la spedizione alla ricerca del tesoro di Morgan, inviando Seaman al seguito come reporter. Ma l'idea non era piaciuta e la direzione del giornale l'aveva cassata. Seaman ci era rimasto male, ma non aveva mai più potuto dimenticare la visione di quello straordinario oggetto che sembrava vivere di una luce propria. Malgrado ciò, come già abbiamo precisato, la storia del ritrovamento di Lubaantun continua a rimanere dubbia. Norman Hammond, un archeologo che pure aveva condotto alcuni scavi nel sito, nel suo libro su Lubaantun, non spende una sola riga a proposito del teschio, spiegando a Joe Nickell, un investigatore alquanto scettico (che firma l'introduzione al volume) che non era stata una dimenticanza volontaria poiché l'oggetto non aveva proprio nulla a che vedere con il sito archeologico. «Il cristallo di rocca non è pietra che si trova naturalmente nell'area maya» e poi continua precisando che le località più vicine dove è rintracciabile sono quelle di Oxaca, nel sud del Messico, e della valle del Messico, dove erano stati trovati altri teschi simili, ma molto più piccoli, di fatturazione azteca. Hammond non si ferma qui. Dichiara, come da prove documentali, che la signora Anna Mitchell-Hedges non era mai stata a Lubaantun, cosa che sarebbe stata anche confermata da alcuni componenti la spedizione archeologica del padre. Hammond si esprime anche in merito all'oggetto. Secondo lui potrebbe essere un “memento mori” (un qualsiasi oggetto realizzato per rammentarci che dobbiamo tutti morire) ascrivibile al XVI o al XVII secolo. Se un'origine rinascimentale non è improbabile, considerata la raffinatezza con cui è stata ricavata la sagoma dal grande blocco cristallino, anche una provenienza dalla dinastia cinese Quing, come oggetto da piazzare sul mercato europeo, non può essere scartata a cuor leggero. Da parte nostra, una volta colto in castagna Mitchell-Hedges - in particolare la sua clamorosa bugia di aver partecipato come sostenitore armato alla missione messicana di Pancho Villa e di aver combattuto nella battaglia di Laredo - e verificato che aveva perduto una causa contro il «Daily Express» che nel 1928 lo aveva accusato di aver costruito ad arte quella storia solo per procurarsi della pubblicità gratuita, confessiamo che anche noi, ad un certo momento, abbiamo pensato che tutto ciò che era montato attorno alla storia del teschio non fosse nient'altro che immaginazione, pura invenzione. In verità, la prima citazione ufficiale del teschio era comparsa su una rivista dal titolo: «L'uomo. Rivista mensile di scienze antropologiche», dove due esperti confrontavano il teschio con un altro, più piccolo ma simile, conservato al British Museum. Il nostro teschio aveva però un altro nome, era il "teschio di Burney. Il personaggio in questione era Sydney Burney, un esperto d'arte, il quale nel 1943 lo aveva consegnato a Sotheby's per una vendita all'asta. Siccome nessuno aveva offerto le 340 sterline del prezzo base, Burney aveva deciso di riprenderselo. Nel 1944 era riuscito a venderlo per 400 sterline proprio a Mitchell-Hedges. Quando Nickell aveva chiesto spiegazioni di tutto questo alla figlia, la signora Anna aveva spiegato che il padre lo aveva consegnato a Burney come pegno per finanziare una spedizione archeologica, e che si era molto indignato quando aveva saputo che Burney lo aveva messo in vendita perché non era per nulla autorizzato. Peccato che non si riesca in alcun modo a sapere con inequivocabile certezza se Mitchell-Hedges possedesse l'oggetto già prima del 1944. Esiste invece una lettera firmata dallo stesso Burney, datata 21 marzo 1933 e indirizzata a qualche funzionario del museo, in cui si precisa che prima di avercelo, il teschio era appartenuto a un collezionista da cui Burney l'aveva comperato e che prima ancora aveva fatto parte della raccolta di un altro collezionista inglese. Da queste testimonianze, sembrava dunque che Mitchell-Hedges avesse inventato di sana pianta la storiella del tempio maya e che, da parte sua, la figlia adottiva avesse continuato a mantenere viva la falsa vicenda come segno di gratitudine verso l'uomo che, adottandola da piccina, aveva dato una svolta decisiva alla sua vita. Lo stesso valga per le affermazioni attribuite a Mitchell-Hedges stando alle quali il teschio di cristallo era stato utilizzato «per procurare la morte di qualcuno» (in merito la signora Anna scherzava, citando quelle parole come prova del senso dell'umorismo del padre adottivo) e per alcune altre allusioni ai poteri sovrannaturali posseduti dall'oggetto; emblematica è la storiella di un fotoreporter che era schizzato via letteralmente terrorizzato dalla stanza buia dove si trovava il teschio, perché, mentre stava per fotografarlo, la lampada del flash era esplosa con forte colpo andando in mille pezzi. Insomma, un groviglio di fatti per una storia che sembra davvero irritante, specie quando qualcuno rivelò che a un'attenta osservazione si potevano notare aggiustamenti ai denti della mascella mobile ottenuti con una smerigliatura meccanica. Per la maggior parte degli addetti ai lavori, il mistero che circonda il teschio del destino altro non sarebbe che una volgare messa in scena, un falso bello e buono. Bisogna andare cauti e un giudizio completamente negativo sarebbe prematuro. Tanto per incominciare, l'altro teschio di cristallo - quello più piccolo e decisamente meno "perfetto" - conservato al British Museum (collocato in cima alla scalinata del Museo dell'uomo, nei pressi di Piccadilly Circus a Londra) viene accettato come genuino e anche su di esso sono stati osservati segni di molatura meccanica. E’ intatti risaputo che gli artigiani Maya facevano uso di mole meccaniche circolari azionate dall'azione di una cordicella tesa attraverso un arco. Ambedue i teschi provengono dal Messico. Quello conservato a Londra venne acquistato dal Museo dal gioielliere Tiffany di New York nel 1898 per una spesa di 120 sterline. Per fugare ogni sospetto, nel 1963 la signora Anna Mitchell-Hedges ha permesso al già citato esperto di pietre e cristalli Frank Dorland di prendere in prestito il prezioso oggetto per poterlo esaminare con calma in California sottoponendolo a tutti i test di verifica ritenuti necessari. Una delle conclusioni più sconcertanti a cui Dorland era approdato, consisteva nell'osservazione che l'oggetto avrebbe potuto avere anche dodicimila anni e che nulla vietava fosse stato ritoccato e lavorato in tempi successivi. Dorland aveva spedito il cristallo ai laboratori della Hewlett-Packard Electronics, che, fra l'altro, si occupava di cristalli oscillanti. Una prima risposta riferì che la fattura dell'oggetto aveva richiesto molto tempo di lavoro, forse, addirittura, trecento anni (due volte il tempo, già più che consistente, denunciato dallo stesso Mitchell-Hedges). Se il parere è corretto - cosa che riteniamo senz'altro - significa che si trattava di un oggetto a valenza religiosa, realizzato da qualche ordine sacerdotale e conservato in un tempio. In tal caso doveva essere connesso a qualche pratica divinatoria. Era tenuto sull'altare - coperto e protetto dalla luce, proprio come le palle di cristallo dei veggenti - e veniva esposto soltanto nel corso di determinate cerimonie, forse per illuminare il cammino che conduceva nell'aldilà. Dorland riferisce anche che, stando ad alcune dichiarazioni di amici di Mitchell-Hedges, in tempi recenti il teschio era stato portato in occidente dai Cavalieri Templari di ritorno dalle crociate e dalla Terra Santa. Una volta in Europa, lo avevano custodito con grande venerazione nel loro centro segreto di Londra. Da qui poi, le varie altre vicissitudini che lo avevano portato sul mercato dell'antiquariato. Questa storia è tanto plausibile quanto quella del tempio maya. L'ordine dei Cavalieri Templari, fondato nei 1118 da Ugo di Payens di Champagne, era una congrega religiosa il cui scopo primario era quello di dedicare la vita per la difesa della Terra Santa e la protezione dei pellegrini che vi si recavano. Il successo ottenuto dall'Ordine era stato così immediato e straordinario che la sua ricchezza era cresciuta a dismisura, fino a diventare leggendaria. Ma questa ricchezza era stata la sua stessa condanna. Sul tesoro templare infatti posò gli occhi il re di Francia, Filippo il Bello, le cui casse languivano. Il 13 ottobre del 1307 egli ordinò l'arresto in massa di tutti i Templari. Essi erano accusati di magia nera, blasfemia, rinuncia a Cristo e perversioni sessuali. Una delle accuse più terribili li diceva adoratori del demone satanico Bafometto, nella forma di una testa o di un teschio umano parlante. Si diceva che i cordigli che erano soliti portare ai fianchi per stringere i loro abiti, fossero carichi di poteri magici derivati dall'averi avvolti attorno alla misteriosa testa parlante. Alcune fra le accuse meno infamanti, sono state accertate come veritiere dagli storici. Fra queste la certezza che celebravano riti magici. Sotto la persecuzione di Filippo, caddero centinaia di Templari. Un massacro che però si rivelò inutile, visto che il re non riuscì a mettere le mani sul loro tesoro. Poiché è pressoché indubbio che il teschio venerato dai Cavalieri Templari doveva essere un teschio umano, l'ipotesi che potesse essere quello di cristallo, detto del destino, per quanto strana non la possiamo respingere a priori. Che dire a proposito dei presunti poteri "mistici" riconosciuti all'oggetto? La signora Anna disse che Adrian Conan Doyle, fratello del celebre Arthur, non solo non poteva sopportare la vista del teschio, ma gli riusciva impossibile stare nella stessa stanza. La sensazione negativa che lo assaliva era così prepotente da accorgersene anche quando l'oggetto, a sua insaputa, era presente ma tenuto nascosto. Affermazioni come queste vengono normalmente etichettate come il desiderio di dar vita e sostenere una leggenda; ma ecco che, subito, Frank Dorland ci smentisce affermando che dopo tanto tempo trascorso a contatto con la pietra, anche lui si era convinto delle sue proprietà mistiche. Per esempio, gli era capitato sovente di udire «acuti scampanellii di campane argentate, lievi ma assolutamente avvertibili» oppure «suoni e canti religiosi». Invece, fissando attentamente il teschio, gli era capitato di vedere «altri teschi, alti monti, mani e visi». La prima volta che aveva avuto il teschio in casa, aveva avvertito in modo distinto il ruggito di felini della giungla. Può trattarsi, ovviamente, di pura suggestione; eppure ciò che un giorno accadde a seguito della visita del satanista Anton LaVey non può in alcun modo ricadere nella categoria allucinatola. LaVey aveva chiamato Dorland per fargli sapere che il teschio di cristallo era stato creato da Satana e che apparteneva alla sua chiesa demoniaca. (LaVey possiede, evidentemente, un gran senso dell'umorismo oltre che un buon fiuto per farsi della pubblicità gratuita). La visita del satanista si era conclusa con LaVey che si era dilettato per qualche momento a suonare l'organo di Dorland. Quando se n'era andato era ormai troppo tardi per poter ancora andare a ricoverare il prezioso teschio nella cassetta di sicurezza dove Dorland era solito custodirlo e così l'aveva dovuto tenere in casa. Nella notte, sia lui che la moglie erano stati svegliati e più riprese da alcuni strani rumori e suoni. Scesi al piano terreno non avevano trovato niente di anomalo. La mattina però, aveva scoperto con grande sorpresa che alcuni oggetti della sala erano fuori posto e che addirittura il ricevitore di un telefono si trovava fuori, nel giardino dei vicini, davanti alla loro porta d'ingresso. La teoria proposta da Dorland non prevede che il teschio sia "posseduto" da un qualche spirito (poltergeist), ma nel caso di quella sera, la sua sostanza cristallina aveva assorbito la presenza negativa di LaVey che, venendo in contrasto con le sue energie, aveva dato luogo alla produzione di effetti fisici infestatoli. I chiaroveggenti dicono di ricorrere alle palle di cristallo per le loro veggenze, perché esse sarebbero in grado di assorbire le energie vitali. La copertura col panno violaceo o scuro serve ad impedire che queste energie si disperdano alla luce del giorno. Effettivamente, sin dai tempi più antichi, da quando è nata la magia, i cristalli sono sempre stati tenuti in alta considerazione dagli operatori per i loro portentosi poteri occulti. Per quanto possa sembrare strano, dietro a questa teoria esiste un substrato scientifico. Per almeno un decennio, il biologo Rupert Sheldrake è andato in giro a dichiarare che la conoscenza fra gli esseri viventi, animali e uomini, è un processo che si verifica anche attraverso ciò che lui chiama risonanza morfica. Il caso più eclatante da lui utilizzato per darne un esempio, è quello delle scimmie dell'isola di Kojirna, al largo della costa del Giappone, che avevano imparato a lavare le patate nell'acqua del mare perché il sale le rendeva più saporite. Qualche tempo dopo, lo zoologo Lyall Watson, autore di “Lifetide”, aveva scoperto che un gruppo di altre scimmie viventi su isole vicine, ma con nessun collegamento con il gruppo originario, avevano imparato e adottato la stessa tecnica. Il processo di risonanza mollica può essere assimilato a una specie di telepatia e secondo Sheldrake gioca un ruolo decisivo nell'evoluzione. La cosa più strana è che questo singolare processo di apprendimento è attivo non soltanto con gli esseri viventi, ma anche con il mondo del non vivente come, per esempio, quello dei cristalli. Alcune nuove sostanze chimiche, cristallizzano sperimentalmente con molta difficoltà; ma una volta che il processo si verifica all'interno di qualche laboratorio, come d'incanto diventa pratica facile e accessibile ovunque, in tutti gli altri laboratori. Dapprima si era pensato che questa diffusione potesse dipendere dal fatto che tracce di cristalli trattenute negli abiti e nei capelli degli sperimentatori si diffondevano via via negli altri laboratori, ma si è trattato di una teoria che ha avuto vita breve per essere sostituita da un'altra più credibile. Pare, infatti, che anche i cristalli, al pari degli esseri viventi, possano imparare tramite il processo della risonanza morfica. In questa prospettiva l'idea che i cristalli possano assorbire energia vivente non suona più così stravagante né assurda. Riteniamo che sarà alquanto difficile risalire alla verità a proposito del "teschio del destino", ma la sua totale rassomiglianza con quello più piccolo conservato al British Museum ci suggerisce una fattura azteca. Ciò che conosciamo della civiltà azteca - della sua religione basata anche sui sacrifici umani - ci spinge a credere che il teschio possa essere stato creato come oggetto a valenza religiosa, forse a fini divinatori, vale a dire, per essere utilizzato con le stesse modalità con cui oggi i chiaroveggenti usano le palle di cristallo. Ma, qualunque sia il motivo per il quale questo straordinario oggetto venne realizzato, tutti coloro che hanno avuto a che fare con esso sono concordi nel dire che senza ombra di dubbio si tratta di uno dei più begli oggetti mai visti al mondo.