Borsellino Paolo nasce a Palermo il 19/1/1940. La famiglia vive e vivrà in un quartiere borghese di Palermo: la Magione. Borsellino è molto attaccato a questo quartiere dove ha trascorso tutta la giovinezza. Ambedue i genitori erano farmacisti.
Al momento dello sbarco degli
alleati in Sicilia la madre di Borsellino vieta ai figli di accettare qualsiasi
dono dai soldati americani. "La Patria è sconfitta, i sacrifici sono stati
inutili, non c’è da essere felici..." è una delle frasi della madre di
Borsellino in quel momento. Queste vicende e i racconti di "Zio Ciccio", reduce
della Campagna d’Africa, gli suscitano curiosità sulle vicende del periodo
fascista, di cui la sua famiglia è stata protagonista.
Anche il rapporto con i figli è
molto forte. Cerca di proteggerli dalla realtà che è intorno a lui e, nello
stesso tempo, di trasmettergli il proprio modo di essere e di
agire.
Un episodio per comprendere la
fatica e la difficoltà di questo rapporto lo si può trovare nel momento in cui,
in piena attività antimafia, Borsellino viene trasferito con Falcone sull’isola
dell’Asinara per motivi di sicurezza. Fiammetta, figlia di Borsellino, sta male,
viene allontanata dall’isola è malata di anoressia. La veglia la notte e cerca
di aiutarla in tutti i modi. Per tutta la sua esistenza quel senso di
protezione, quel senso di colpa per aver provocato problemi così grandi alla
sua famiglia e, soprattutto, la volontà di stare vicino a sua figlia non lo
abbandoneranno mai.
Il Magistrato
Nel 1965 Borsellino viene mandato al
tribunale civile di Enna come uditore giudiziario.
Nel 1967 ha il primo incarico
direttivo, Pretore a Mazara del Vallo nel periodo del dopo
terremoto.
Il 23 dicembre del 1968 Borsellino
si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e indietro da Palermo,
anche più volte al giorno.
Nel 1969 viene trasferito alla
pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il capitano dei Carabinieri
Emanuele Basile.
Nel 1975 Borsellino viene
trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco
Chinnici. Con il Capitano Basile
lavora alla prima indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo
impegno senza sosta per sconfiggere l’organizzazione
mafiosa.
Nel 1980 arriva l’arresto dei primi
sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano viene ucciso in un agguato. Per la
famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono.
Da questo momento il clima in casa Borsellino cambia e il giudice stesso deve
relazionarsi con "quei ragazzi" che gli sono sempre a fianco e che cambieranno
per sempre le abitudini sue e della sua famiglia.
Il suo modo di fare, la sua
decisione influenzano il "sentire" dei suoi familiari. Dalle parole della
moglie, ancora, si può comprendere il rispetto e la sofferenza che si alternano
nei loro cuori: "...Il suo modo di esercitare la funzione di giudice lo
condivido perché anch’io credo nei valori che lo ispirano....Non penso mai, per
egoismo, per desiderio di una vita facile di ostacolarlo....Non è stato un
sacrificio immolare la sua vita al mestiere di giudice: ama tantissimo
cercare la verità, qualunque essa sia."
La scorta costringe il giudice e la
sua famiglia a convivere con un nuovo sentimento: la paura. E’ così che Borsellino ne parla e la
affronta: "La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia
accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò
diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti."
La morte
Borsellino ha un forte rapporto con
la morte; è presente in ogni parte della sua vita.
Teme per gli altri, per la sua
famiglia, per I ragazzi della scorta. E’ molto protettivo con i suoi
collaboratori e con la sua famiglia. Parla spesso della morte un po’ per
scherzarci sopra un po’ per ricordarsi sempre che non è poi così lontana. "Se
muoio adesso, il mio compito l’ho svolto".
Ha visto morire molte persone,
uomini di valore morale ed intellettuale e sa benissimo di non essere esente da
una fine simile. Eppure a volte scherza con la morte, se ne prende gioco, ci
ride sopra con un unico cruccio: quello di aver preparato i propri figli ad
affrontare la vita.
"Non sono né un eroe né un kamikaze,
ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa
misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia
il coraggio a prendere il sopravvento...Se non fosse per il dolore di
lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno".