Il Castello di Faicchio, denominato nei documenti di investitura feudale "Rocca Nova", sorge in posizione strategica al centro del paese, su uno sperone di roccia che domina la valle del Titerno. E' propri
o la strategia della sua posizione che ha fatto supporre a storici e archeologi che la primigenia costruzione delle sue mura possa risalire ad epoca antichissima, addirittura sannita (VI sec. a.C.).
I Longobardi (VII-X sec. d.C.) tennero
Dopo il dominio longobardo, furono i Normanni a governare su Faicchio e sulle zone limitrofe. E' a quest'epoca che abbiamo la prima data storicamente certa riferita al Castello; nel 1135 fù edificato o riedificato dai Sanframondo, nuovi signori del luogo.
Nel corso del 1300, il castello fù oggetto di restauri, ed ampliamenti, che sicuramente lo ingentilirono, senza togliergli del tutto il rude aspetto di maniero difensivo.
Spodestati i Sanframondo, rei di aver partecipato alla rivolta dei baroni, i nuovi dominatori, gli Aragonesi, misero in vendita il castello, che dopo alterne vicende, nel 1337, giunse nelle mani della famiglia Monsorio, che lo tenne fino al 1520. Con i Monsorio l'aria del primo rinascimento entra in Faicchio ed è ad essi che possiamo attribuire tutta la parte architettonica quattrocentesca, della quale quasi più non vi resta, oltre la parte est, ove si ammira ancora una splendida finestra durazzesca.
Nel 1612, così come recita l'epigrafe posta sul portale d'ingresso, esso fu ristrutturato e in buona parte trasformato nelle proporzioni che noi oggi possiamo ammirare dal nobile napoletano Gabriele De Martino.
La famiglia De Martino tenne il castello fino alla soppressione dei diritti feudali.
Un ultimo e meritorio intervento di restauro, che salvò dalla rovina il castello, fu quello del 1962 ad opera della famiglia Fragola che l'aveva precedentemente acquisito. L'edificio ha la forma di un poligono irregolare i cui lati sono raccordati tra loro da tre torrioni. La struttura richiama il celebre "fratello maggiore" di Napoli, ossia il Maschio Angioino. I torrioni, infatti, seppure in proporzioni ridotte, poggiano su basi tronco-coniche come quelli del castello Partenopeo. Di torri ne sopravvivono solo tre essendo una torre crollata, probabilmente a causa di uno dei tanti terremoti che sconvolsero la valle telesina, e non fu piè ricostruita nè ve ne resta traccia alcuna lungo il perimetro murario; anche per questo motivo qualche esperto contemporaneo ha avanzato la tesi che la quarta torre non era mai stata costruita e che il castello avesse solo tre torri. Il portale è ornato da una corona di bugnato, composta da rocchi alternativamente stretti e larghi, secondo la maniera seicentesca. La volta a botte dell'ingresso immette in un largo cortile scoperto dove si possono ammirare le belle forme seicentesche volute e fatte realizzare dai De Martino. Sul lato destro presenta un porticato ad archi e pilastri, coperto da volte a vela, che sorregge un terrazzo protetto da una balaustra con anelli in tufo locale scuro. Con questo stesso materiale sono costruiti i fregi, decorazioni varie e gli stemmi che ornano il terrazzo più piccolo, affacciato sulla sottostante Piazza Roma.
Da ammirare è una bella e ben conservata scala a chiocciola in tufo grigio scuro, composta da tante mensole sagomate a gradino, ognuna di un sol blocco di tufo.
Molto suggestivo anche il campanile che affaccia sulla Piazza, del XVIII sec.
In alto sul portone dell'ingresso principale sono ancora visibili dei fori necessari allo scorrimento delle catene del congegno di manovra del ponte levatoio, mentre nelle spesse mura delle torri si notano ancora strette aperture verticali, piuttosto larghe dal di dentro, da dove venivano scagliate le armi di pietra contro gli aggressori. I sotterranei del castello sono profondi e impraticabili, perchè in parte ostruiti, mentre il locale del carcere, un buio antro al pian terreno, è in buono stato consentendo ancora la visione di indecifrabili e antiche iscrizioni con rozze croci, forse testimonianza di poveri prigionieri in catena.
Molto suggestivo anche il campanile che affaccia sulla Piazza, del XVIII sec.
In alto sul portone dell'ingresso principale sono ancora visibili dei fori necessari allo scorrimento delle catene del congegno di manovra del ponte levatoio, mentre nelle spesse mura delle torri si notano ancora strette aperture verticali, piuttosto larghe dal di dentro, da dove venivano scagliate le armi di pietra contro gli aggressori. I sotterranei del castello sono profondi e impraticabili, perchè in parte ostruiti, mentre il locale del carcere, un buio antro al pian terreno, è in buono stato consentendo ancora la visione di indecifrabili e antiche iscrizioni con rozze croci, forse testimonianza di poveri prigionieri in catena.
Una leggenda popolare tramanda che nella cappella del castello si trovava un gran
quadro raffigurante Santa Barbara che, dopo le pie funzioni religiose, si faceva
baciare al condannato. Questi nell'accostarsi al quadro, poneva a sua insaputa i piedi
su di una botola, nascosta nel pavimento, esistente tutt'oggi, che si apriva e
inghiottiva, irreparabilmente, il povero carcerato: il famigerato “trabocchetto”.
Gli arredi originali sono andati dispersi ma gli attuali proprietari hanno allestito con molta cura gli ambienti interni.
Attualmente la struttura, acquistata da un gruppo di giovani imprenditori locali nel 2000, è disponibile per la realizzazione di incantevoli cerimonie sia nelle sale interne che nel cortile esterno, con fiaccolate e servizi in costume d'epoca, curando in particolare il servizio e la cucina con piatti del territorio e non, inoltre sono disponibili sale per meeting e spazi aperti per spettacoli teatrali.